“Il mio corpo è ferito, il tuo è piegato……Perché non c’è altro da fare
Ogni me ed ogni te.
So di essere egoista, sono scortese l’amore facile l’ho sempre trovato, qualcuno da schiacciare e lasciare alle spalle……..
Ogni me ed ogni te”.
(Placebo: "Every you and every me").
“Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d'umore Dalle ossessioni delle tue manie Supererò le correnti gravitazionali Lo spazio e la luce per non farti invecchiare
E guarirai da tutte le malattie Perché sei un essere speciale
Ed io, avrò cura di te”
(Franco Battiato: “La cura")
Queste citazioni sono estrapolate da due testi agli antipodi tra loro, che hanno però in comune uno stesso argomento: l’amore.
Ma in base a questo mi chiedo con Raymond Carver: “What we talk about when we talk about love”? “Di cosa parliamo quando parliamo d'amore”?
A tale proposito vorrei parlarvi, scusate la ridondanza, di un libro e di una sua introduzione specifica.
Il libro è il Simposio di Platone e l’introduzione è quella di Umberto Galimberti.
Sull’amore si sono scritti miliardi di libri, canzoni, poesie. Si sono spesi e si continueranno a spendere fiumi infiniti di parole. Ma, appunto, si può cogliere la verità dell’amore?
Come esortava Auden in una sua raccolta di poesie: “La verità vi prego sull’amore”.
Premesso però che la verità non è qualcosa che si ha ma qualcosa dentro cui si è, credo che il discorso più vicino alla realtà dell’amore, attorno cioè a quelle tà erotikà, alle misteriose “cose d’amore”, l’abbia fatto un greco nato presumibilmente nel 428 a.C. e morto nel 347, il quale non ha fondato una scuola poetica o letteraria, bensì la ragione occidentale.
Non dobbiamo però vedere Platone solo alla maniera in cui lo conosciamo “scolasticamente", cioè in modo ideale, edificante, “platonico", appunto.
Qui siamo di fronte a un Platone per così dire “misterico”.
Nel Simposio (dal greco “bere insieme") egli mette al centro del suo dialogo, scritto in maniera fortemente letteraria, Eros il dio dell'amore e i misteri ad esso legati.
Il Simposio, appunto il banchetto che Platone descrive, si svolge a casa di Agatone, poeta tragico, per festeggiare la sua vittoria nelle gare drammatiche. Gli invitati sono famosi: Eressimaco, un medico, Aristofane, un commediografo, il politico ateniese Alcibiade (amante di Socrate), Fedro un discepolo che darà il nome ad un altro eccelso dialogo e poi lui, Socrate, il filosofo.
Tutti parlano ed ognuno dà una definizione dell’amore. Socrate comincia, come suo solito, a confutare i punti deboli dei discorsi dei commensali.
Dopo afferma che le “cose d’amore” gli sono state insegnate da una donna (particolare fondamentale): Diotima di Mantinea.
Perché?
Perché le donne sono più prossime al mondo intuitivo, emotivo, sentimentale; mentre gli uomini sono più legati alla forma del pensiero logico-razionale.
Diotima quindi narra a Socrate un mito che racconta la genesi di Eros, il quale risulta essere figlio di Penia (mancanza) e di Poros (espediente).
Poros e Penia, ubriachi alla festa di Afrodite, fanno l’amore e dal loro incontro nasce Eros, Amore, “che è sempre povero e ben lungi da essere morbido e bello come crede il volgo, è ruvido, irsuto, scalzo e senza asilo, si sdraia sempre per terra senza coperte, dorme a cielo scoperto davanti alle porte e sulle strade e possiede la natura della madre, sempre dimorando insieme all’indigenza.
Secondo la natura del padre ordisce complotti….è coraggioso e si getta a precipizio ed è veemente, è un abile cacciatore, intreccia sempre delle astuzie, è desideroso di saggezza e insieme ricco di risorse, passa tutta la vita ad amare la sapienza……in una stessa giornata è in fiore e vive…..ora invece muore, ma ritorna di nuovo alla vita grazie alla natura del padre……ciò che si è procurato scorre sempre via".
Cosa vuol dire tutto questo?
La mitologia greca è una psicologia e Umberto Galimberti, mio “maestro” all’Università di Venezia, ha trasposto in termini psichici questo mito.
Amore è dunque desiderio che cerca una via d’uscita dalla mancanza. Eros non è l’oggetto d’amore, ma colui che ama.
Inoltre, dice Platone per bocca di Socrate, Amore è un demone intermediario tra uomini e dei, che interpreta le parole degli dei e traduce loro le parole umane.
Ritraduciamo noi ancora, dal mitico allo psichico: l’amore è intermediario tra la nostra parte razionale (gli uomini) e la nostra parte istintiva, irrazionale, emotiva e per questo sacra ( gli dei),
o se vogliamo usare un termine che tutto questo racchiude, la nostra follia.
Quando Vasco Rossi quindi dice che la vita “è tutto un equilibrio sopra la follia”, afferma una fondamentale verità filosofica.
Per i greci il sacro non è il santo (termine e concetto cristiano), ma un luogo che viene prima della ragione e dove tutte le forze opposte convivono. È pericoloso e affascinante insieme. Ed è al di là del bene e del male.
Amore è allora una condizione che permette alla nostra parte irrazionale di farsi intendere dalla nostra ragione, e alla nostra ragione di tradursi alla nostra parte “folle".
Questo però, dice Galimberti, è possibile solo tramite il rapporto con un altro che “intercetta” la nostra “follia" e la fa emergere.
In questo senso, si pensa di amare l’altro, ma ciò che amiamo è l’emersione dei nostri contenuti nascosti, profondi, emotivi, irrazionali. Perché questi sono, in certo qual modo, sacri cioè pericolosi e nello stesso tempo affascinanti e generativi.
Amore genera e genera un nuovo io, che scendendo nelle acque dell’istintivo, dell’emotivo, dell’irrazionale, si contamina, cambia e si rinnova.
Quando un amore finisce, soffriamo perché perdiamo l’altro, cioè perdiamo colui o colei che ci ha rivelato la nostra natura profonda.
Ma sia che vada bene, sia che vada male, vivere una storia d’amore è sempre qualcosa che ci accresce perché noi non possiamo più essere gli stessi che eravamo prima di quella storia. Siamo diventati qualcosa di più profondo e complesso.
Qui siamo oltre il sentimentalismo e il romanticismo.
L’amore lacera il nostro io e lacerandolo lo supera e lo rinnova.
È un rapporto di me con me stesso attraverso l’altro, che è liberatore e testimone dei miei contenuti più profondi.
I Frankie goes to Hollywood cantavano che l’amore è una forza che viene dall’alto (“a force from above”). Dall'alto o dall'oltre?
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