Erano gli inizi degli anni ’90 e noi eravamo ”tondelliani”.
Pier Vittorio Tondelli ci lasciò purtroppo ancora giovane nel 1992, indicandoci però in un “Week-end post moderno", summa estetico-letteraria degli anni ‘80, una linea di interpretazione della letteratura americana, che partendo da Hemingway transitava per Kerouac verso Carver ed arrivava dritta dritta, fino a coloro che venivano considerati gli enfants terribles di quel periodo: Jay McInerey e soprattutto Bret Easton Ellis.
I loro romanzi ebbero un’eco mondiale e dettarono le coordinate culturali di un’intera epoca.
Per parte nostra eravamo entrati da poco nel nuovo decennio uscendo vivi dagli ’80 (a proposito di Cartoline rock!), forse solo per il fatto di essere giovanissimi; ma avevamo intuito lo stesso che in quel decennio qualcosa di fondamentale se n’era andato irrevocabilmente, senza poter più ritornare.
Fernanda Pivano, nei suoi scritti sempre puntuali, ci spiegava che i giovani che si affacciavano sul panorama letterario e sociale americano, erano i figli dei beat o i figli dei “figli dei fiori"; ma le utopie prospettate da quei movimenti, nel periodo storico immediatamente successivo, si stavano schiantando contro una realtà sempre più brutale.
Non era più possibile credere ad un nuovo modello di società basato sull’uguaglianza sociale, sulla rinuncia alla competizione, sulla non-violenza, sul superamento delle barriere razziali, sulla libertà sessuale.
Quella società non si era realizzata (per molteplici e complessi motivi) e quella gioventù entrava a grandi passi nel “riflusso”.
Alcuni provarono a conquistare il contrario dell’utopia cioè il denaro e il successo sociale, rinunciando totalmente ad ogni idealismo.
Si affermavano coloro che vennero definiti Yuppies: persone attratte da prospettive di facili guadagni, con uno stile di vita lussuoso fatto di status-symbol, alta moda (possibilmente milanese) e brand bene in vista sui fashion accessories.
Tutto quello che la precedente generazione aveva aborrito.
In questo humus culturale si inserisce il romanzo d’esordio di Jay MacInerney, “Le mille luci di New York" del 1984, che ha avuto la capacità di intercettare il modus vivendi di quella generazione, venendo, fra l’altro, considerato portavoce in pectore degli Yuppies (titolo che McInerney rifiuterà sempre).
All’interno dell’opera, l'autore usa un artificio retorico estremamente azzeccato: fa esprimere l’io narrante in seconda persona, ottenendo attraverso il dialogo costante di sé con sé stesso effetti iperbolici.
Il protagonista è un giovane, amante di Fitzgerald, Bellow e dei Talķing Heads (tra gli altri), che lavora nel reparto “Verifica dei Fatti" di una nota rivista letteraria. Quel posto non è esattamente ciò che egli vorrebbe, essendo un aspirante scrittore.
Al suo arrivo nella Grande Mela, la vita sembra promettergli qualcosa, ma poi gli avvenimenti prendono una brutta piega: la moglie modella lo lascia, la rivista lo licenzia e la madre muore.
Allora il giovane rampante si butta sulla cocaina, descrivendone non solo gli effetti, ma i simboli ad essa associati: il cucchiaino di platino, la collana e lo specchietto per tagliare le “piste".
Alla “sostanza" aggiunge poi litri e litri di alcool per stonarsi.
La spirale di droga, alcool (e naturalmente sesso, çava sans dire), spinge il protagonista fin quasi nelle braccia dell’autodistruzione.
Resta un must il passo in cui parla con sé stesso dei soldatini boliviani ficcati nel suo cervello, che reclamano nervosi un’altra dose di polvere, dopo le innumerevoli ricevute durante il corso della nottata.
Ma il romanzo ci regalerà un finale inaspettato che riprenderemo più avanti.
Il secondo scrittore, simbolo di quella generazione, e forse suo interprete più iconico, è Bret Easton Ellis: lui e il suo libro, “Meno di zero" del 1984, rappresentano una radicalizzazione sia dell’autore precedente, sia delle tematiche trattate.
La prima considerazione da fare riguarda una caratteristica specifica della generazione che viene descritta.
Mentre, ad esempio, i personaggi di Kerouac, si ribellavano al mondo nel quale si trovavano a vivere, quelli di Ellis restano immobili e disperati.
Una seconda considerazione riguarda il modo di narrare scelto da Ellis.
Le “scene” del romanzo vengono “montate” secondo la modalità dei “videoclip" che MTV, nata da pochi anni, trasmetteva in maniera continuativa ad ogni ora del giorno e della notte.
“Less than zero" prende il nome da una canzone di Elvis Costello e si configura come una vera e propria tracklist, (o playlist come diremmo oggi) di brani musicali di ottima fattura che si inframezzano, a volte a livello semplicemente acustico, a volte proprio nella forma del video, alla narrazione della storia.
Se ne contano perlomeno una ventina. Ne cito solo alcune diciamo per affinità elettive:
“New kid in town"-Eagles
“Teenage Enema Nurses in bondage"-Killer pussy.
“September song"-Frank Sinatra
“On the sunny side of the street"- Luis Amstrong
“Arteficial insemination"-Swamp Dogg
"Let's dance"-David Bowie
"Do you really want to heart me"-Culture Club
"Hungry like the wolf"-Duran Duran
“Tainted love"-Soft cell
“Somebody got murdered”-Clash
Tornando all’elemento più propriamente letterario, il romanzo è la storia del diciottenne Clay che rientra a casa dall’università durante le vacanze di Natale, in una famiglia in disgregazione e da una ragazza che non ama più.
Torna da amici che hanno una vita ricca dal punto di vista materiale, ma arida e a tratti violenta, sul piano emotivo.
Il personaggio principale è gelido, apatico, disinteressato.
Anche qui alcool, cocaina, sesso e pornografia, rappresentano il mondo di questa élite giovanile, che sembra non abbia niente per cui lottare e niente da scoprire. Il sentimento-base è la disperazione.
Resta qualche momento lirico all’interno del racconto, ma sono equiparabili a fuochi fatui presto spenti.
I giovani di Ellis non sanno chiedere né trovare aiuto. Lo scrittore evidenzia come la loro autodistruzione abbia radici all’interno della famiglia, ma la risposta e la denuncia di Ellis sono opposte a quelle dei beat, per i quali l’elemento essenziale era la ricerca della libertà; quest’ultimo invece afferma:
“Che cosa fare, quando si può fare tutto quello che si vuole? Che cosa si ricava? Cosa importa?”
Mi permetto a questo punto di trarre alcune conclusioni. Sempre personali.
Si è vero, Ellis fa una denuncia, ma questa resta parte integrante e coerente del mondo che descrive.
Il suo sostare presso il Grand’Hotel Abisso, con indiscussa capacità estetico-tecnica e con un caustico distacco, mi sembra non tenga abbastanza in considerazione l'elemento emotivo (cosa che invece fa, ad esempio, Foster Wallace, pur collocandosi nello stesso contesto) e a mio parere, denota una certa qual soddisfazione nel sostare dalle parti del nulla esistenziale.
Con questo non si vuol identificare l’uomo Ellis con i personaggi dei suoi romanzi, né tantomeno sostenere che non sia un valido autore. La sua carriera è il suo surfare sulla post-modernitá, dimostrano esattamente il contrario; mi sembra però che egli sia rimasto prigioniero di sé stesso, del suo personaggio e della sua fredda disperazione.
Dicevo prima che avrei ripreso, in conclusione, il finale di McInerney.
Mettiamo adesso a confronto l’ultimo paragrafo dei due romanzi:
“Le immagini che avevo io erano di gente impazzita…….. Immagini di genitori così affamati e insoddisfatti da divorare i loro stessi figli. Immagini di persone, ragazzi della mia stessa età, che alzavano lo sguardo dall'asfalto restando accecati dal sole. Queste immagini restarono con me anche dopo che lasciai la città. Immagini così violente e malvagie che sembrarono essere il mio unico punto di riferimento anche molto tempo dopo. Dopo che me ne fui andato."
(“Meno di zero")
“Ti inginocchi e apri il sacco con uno strappo. Il profumo di pane fresco ti avvolge tutto. Il primo boccone ti si ferma in gola e ti fa quasi vomitare.
Dovrai cercare di andare piano. Dovrai imparare tutto da capo"
(“Le mille luci di New York”).
Forse si può lasciare il nulla (che è sempre dietro la porta) e si può uscire vivi dagli anni ’80 (“nonni" di questi tempi attuali), riuscendo ad apprezzare un pezzo di pane fresco, e imparando tutto daccapo.
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